Piccola avventura a Vicosoprano
Non sono mai stato un “dormiglione”. Durante il periodo di scuola o
dell' attività lavorativa, anche nei giorni festivi ho preferito non
restare in ozio a letto oltre un certo orario , figuriamoci durante il
periodo di vacanza a Vicosoprano. Ho sempre odiato “perdere tempo”
quando fuori il mondo mi stava aspettando con tutte le meraviglie da
scoprire con tutte le persone da incontrare e gli amici...
Durante
i soggiorni in Val d'Aveto dopo una veloce “riassettata” alla persona
ed una altrettanto frugale prima colazione ho cercato, con risultati
apprezzabili, di vivere quanto più intensamente tutti i momenti e tutti i
particolari che la vita mi ha offerto... Cose semplici, di nessun
valore reale... la forma di una nuvola, il profilo dei monti che conosco
talmente bene da poterlo disegnare in ogni momento senza alcuna
difficoltà, il verde di Pianseiun o di Campori screziato del giallo dei fiori, una passeggiata per la “strada delle vacche” fino in Pescin o alla Bocca della Selva nel
cielo azzurro di un mattino di Luglio con i grilli e le cicale
assordanti già dal primo sole e un filo di fieno fra i denti... nessun
valore monetizzabile ma che ricordi! che vita ho vissuto!
Non è
concepibile il voler rimuovere tutto questo, ben incastonato nella mia
mente. Tutto ciò è un tesoro di inestimabile valore che mi provoca una
nostalgia feroce e pungente... Riguardo alle volte vecchie fotografie e
mi rivedo sdraiato in un prato con gli amici che ridono e la mente senza
preoccupazioni di sorta... Ad oggi non ho più quella serenità ma il
vissuto mi aiuta ad andare avanti e a convincermi che (raccontando tutto
questo un giorno ai miei figli, ed augurando loro di poterlo vivere),
non ho vissuto invano.
E così, per raccontare un episodio che ad
oggi mi fa sorridere ecco cosa ho combinato una mattina nella quale ho
voluto “andare oltre” per scoprire una parte di mondo a me sconosciuta.
Era
il mese di agosto dei primi anni novanta, l' estate in pianura rovente e
implacabile convinse i miei genitori a farmi passare un po' di tempo in
compagnia di mio fratello a Vicosoprano.
La vacanza correva via
liscia con tutti suoi fatti e i suoi avvenimenti e proprio in quel
giorno, era stata rispolverata la festa al Monte Dego, ribattezzata “u dì di Nonni”,
durante il quale fu organizzato un servizio trasporto e una grande
festa alla Chiesetta dell' omonimo Monte, appunto per gli anziani del
paese che mai e mai più avrebbero avuto occasione di recarvisi.
Bisogna
sapere che la festa al Dego ha sempre avuto un grande importanza per i
paesi dell' Aveto e della Trebbia e con il fatto che il cambio
generazionale l'aveva messa un po' “giù di moda” è stata colta
l'occasione per un grande ritorno. Gran parte degli abitanti, come ai
tempi d'oro, si stavano organizzando per recarvisi, molti passeggiando a
gruppi, altri con i più disparati mezzi.
Decisi, dopo aver
controllato accuratamente lo zaino che avrei raggiunto la vetta a piedi;
volevo godermi la passeggiata in solitudine, godermi “l'assordante
silenzio” della natura, scattare foto e rimirare l'ambiente che mi
circondava e del quale facevo parte.
Là avrei trovato sicuramente
qualche amico, qualche conoscente con cui dividere la giornata,
ascoltando la celebrazione religiosa, immancabile in qualsiasi
manifestazione, chiacchierando e ascoltando gli improvvisati “gruppetti
canori” mai assenti durante scampagnate o feste in genere.
Partii.
Il sole mattutino, complice l' aria rarefatta si faceva sentire
tuttavia un leggera brezza fresca mi accarezzava evitando la sudorazione
e limitando l' insorgere della sete, una sensazione di benessere mi
percorreva, ero felice e l'idea del “bello” che stavo vivendo mi
inebriava.
Avevo intrapreso la strada per Pian Seiun,
sterrata. I cespugli a bordo carreggiata resi bianchi dalla polvere
sollevata dai mezzi in transito e le rocce affioranti dell' altopiano
arso dal sole, davano all' insieme un aspetto alquanto strano, quasi
lunare.
Camminai per un ora che si avvicinava oramai il
mezzogiorno dato l' orario e trovandomi al cospetto di una fonte, decisi
di fermarmi per il pranzo. Mi rinfrescai, gettandomi acqua sul capo e
tenendo immerse le mani nella vasca quindi mi sedetti all' ombra,
scartai i panini, mangiai con calma e diedi fondo alla borraccia. L'
acqua gelida, a contatto con le labbra mi provocò un brivido... strano,
pensai, con un sole così... Tergiversai qualche istante, guardandomi
intorno, al fresco di un faggio ed ebbi modo di verificare che nei
momenti piacevoli o di riposo il tempo si mette a correre a dismisura
non lasciando scampo ad azioni non svolte e costringendoci a lasciare in
sospeso quello che si sta facendo per continuare ciò che si aveva in
progetto.
Si, questa sosta inutilmente prolungata e la partenza
mattutina, troppo posticipata, avevano stravolto tutti i piani della
giorno, non era conveniente proseguire verso il Dego; sarei
arrivato che tutto sarebbe volto da lì a poco al termine... va da sé che
non potevo tornare indietro, con un tempo così bello e la libertà delle
ferie estive sarebbe stato un peccato ritornare in paese e perdere un
intero pomeriggio oziando.
Avvistai un sentiero che saliva verso un piccolo valico che mi avrebbe portato in breve tempo ad un posto a me conosciuto, Pescin, e raccogliendo le mie cose, lo intrapresi.
Camminai
per una ventina di minuti, del sentiero rimaneva solo la traccia sulla
carta topografica e qualche impronta lasciata chissà quando sul fango
oramai indurito da persone e animali che tempo indietro mi avevano
preceduto. Ero circondato dalla cerchia di vette familiari, sicuro di
quello che stavo facendo ed ebbro di aria pura profumata di ginepro
quando, all' orizzonte, spuntò da dietro ad un sorbo selvatico, la cima
di una montagna, ultima propaggine della Provincia di Pavia in cui
abitualmente risiedo. Brandita in fretta la fida Kodak Retina, come se
il soggetto della fotografia potesse scappare, notai che le condizioni
di luce e la visibilità non erano ottimali per uno scatto perfetto e
cercai, abbandonando lo zainetto e lasciandolo sul sentiero come punto
di orientamento, una radura che mi ricordavo presente su una
particolareggiata carta geografica militare.
Ero distante cinque
minuti di cammino da dove avevo abbandonato il sentiero, tornai quindi
sui miei passi immediatamente dopo qualche fotografia... avvistai subito
lo zaino che faceva bella mostra su un ramo ma non trovai più il
sentiero. Oh bella, impossibile! mi ripetevo incredulo sorridendo.
Risalii
quindi da dove avevo valicato per ritrovare le mie orme nell'erba e più
mi allontanavo, più la strada si inaspriva e, arrivato nei pressi di un
roveto impenetrabile, feci “dietro front”, scrollando le spalle.
"Se scendo per di qui prima o poi devo incrociare la strada provinciale per Orezzoli " pensai e fu l' ultima cosa sensata che passò per la mia mente da quel momento.
Erano
oramai le quindici e le cicale non facevano nulla per rendere meno
drammatico quell' afoso pomeriggio estivo, mi stordivano con quel loro
stridio acuto ed il sole, implacabile ogni poco mi colpiva con i suoi
raggi roventi.
Iniziai a scendere nel bosco cercando una via non
troppo ripida, di tanto in tanto mi imbattevo in greti di piccoli
ruscelli che la siccità aveva trasformato in zone leggermente più verdi
nel sottobosco, gli scarponi iniziavano a pesare e il sudore scendeva
copioso giù per il collo, inumidendo la maglietta e rendendomi preda di
ogni sorta di insetto.
Il bosco finì e mi ritrovai in un ampio
pianoro nel mezzo del quale, un reticolato e un albero solitario
facevano bella mostra della loro vetustà e della loro tormentata vita.
Rimasi sorpreso, ho sempre ignorato la presenza di qualche opera umana
su questo fianco della montagna eppure, tutto era materialmente lì,
davanti a me.
Mi avvicinai all' albero, un focolare improvvisato
fra le pietre, toccai la cenere , era ancora tiepida; qualcuno aveva
bivaccato da poco. "Non sono solo su questo pianeta" sentenziai
scherzando a voce alta sentendomi osservato. Mi voltai, era solo il
vento che spazzava la radura ed ogni poco giocava fra il reticolato
creando strani suoni.
Tolsi lo zainetto, mi sedetti su un tronco a
terra e accesi una sigaretta in attesa di riprendere il cammino. Finito
che ebbi di fumare invece, mi accoccolai al sole, sull' erba fresca e
con il vento che ogni poco mi solleticava il viso, mi addormentai.
Trascorse più di un’ora. Questa sosta fu l' ennesimo errore. Non avrei dovuto fermarmi, ma riprendere il cammino subito.
Il
vento si era rinforzato e da Ovest nubi minacciose iniziavano a salire e
ad occupare gran parte dell' orizzonte, mi svegliai di soprassalto e
quasi in preda ad un angoscia tangibile, raccolte le mie cose,
intrapresi immediatamente il cammino.
Continuavo a scendere e la mente materializzava una cosa piuttosto scura che volevo scacciare "no, non ti sei perso sul monte" mi dicevo mentre il sole seguitava a scendere "fra un po' sarà dietro la dorsale e nel bosco ci sarà buio", "passerai la notte qui", "gli spiriti dei morti della montagna verranno da te". Questi erano i miei pensieri e allungavo il passo voltandomi ogni poco per controllare di avere le spalle al sicuro.
Mi
rivedo oggi con lo sguardo fisso verso il bosco e non posso fare altro
che sorridere anche se quanto passato come molti dei ricordi che ogni
tanto affiorano, mi riportano a momenti anche se drammatici, molto più
sereni che non gli attuali.
Continuavo a camminare, quasi correvo
quando mi si parò davanti una pineta, un brivido mi colse all'
improvviso. Non so se è capitato a qualcuno di guardare attraverso i
tronchi di una pineta standone ai margini. Dapprima, abbagliati ancora
dalla luce esterna si vede tutto fosco, poi addentrandovisi, essendo la
flora del sottobosco praticamente inesistente si può notare tutto quello
che accade all' interno a perdita d' occhio, se poi si è un po'
suggestionabili, si vede anche quello che non accade ma che si crede
stia accadendo. Mi figuravo di avvertire un barlume lontano e di
scorgere da lì a poco un cerchio di streghe in danza intorno al fuoco o
qualche folletto del bosco apparire e scomparire dietro ad un fusto.
Non
ero tranquillo e controllavo oramai con il cuore in gola la quantità di
minuti di luce che sarebbero rimasti prima che il sole scomparisse
dietro il monte. Il vento giocava fra le cime degli alberi, sibilando ed
ogni raffica che ricevevo sul viso era motivo per accelerare l'
andatura e controllare quello che stava accadendo intorno a me.
Toccavo
ogni tronco a cui passavo vicino e cercavo di fare più rumore possibile
con il bastone e con un motivetto che poco prima avevo iniziato a
canticchiare. Finalmente un chiarore diffuso mi avvertì che la pineta
stava per terminare e quando ne uscii , mi sentii più pulito e mi volsi
indietro... vidi i tronchi neri dei pini, un fremito mi spronò a
proseguire.
Il sole, come una candela che finisce la cera si
spense dietro ad un gruppo di ginepri sulla vetta di un colle pelato
battuto dal vento. L' atmosfera era da fine di un film western dove l'
eroe di turno ritorna a casa, accolto amorevolmente dalla famiglia...
qui era tutta un' altra cosa in realtà, non esistevano indiani e
sparatorie ed avevo poco più di quindici anni, non conoscevo il luogo
dove mi trovassie soprattutto calava l' oscurità.
Sopraggiunse il
tramonto e forzatamente dovetti attraversare un bosco di faggi. Il buio
nel bosco è una cosa solida, come un telo di stoffa nera che si deve
attraversare per forza, tronca il respiro, ti tocca ovunque e lo senti
addosso come i vestiti bagnati, i sensi si acutizzano, la vista si
affina, l' udito pure, si vedono e si sentono cose a volte non reali,
astratte, la paura si fa avanti, si impadronisce del corpo ed è
difficile non cadere nella disperazione più completa.
La
situazione era precipitata a mio sfavore, oramai vagavo a caso nel bosco
e fra intricati cespugli, continuavo comunque verso il fondo valle. La
sera era avanzata e ogni minimo rumore di qualche innocuo animaletto
selvatico mi faceva trasalire e mi costringeva a mettere la mano sul
manico del coltello nel fodero legato alla cintura. Se pensavo al mio
comportamento, ai miei sensi ed al mio stato ed ero consapevole di tutto
ciò, voleva dire che ragionavo ancora e, pensando bene a tutto, non mi
diedi per vinto anche se oramai mi ero proprio perso e non avevo alcuna
idea. Vedevo le vette dei monti, vette conosciute ma mi era impossibile
orientarmi nella boscaglia.
La disperazione aveva la meglio su
tutti i miei sforzi, su tutti i miei ragionamenti... decisi di fermarmi a
pensare. Mi sedetti su un sasso ricoperto di muschio con la testa fra
le mani.
"La bussola, la bussola" continuavo a ripetermi e frugai nervosamente nello zaino alla sua ricerca, "se solamente l' avessi utilizzata qualche ora fa"
piagnucolai sconsolato... indicava il Nord esattamente un quarto di
giro ove pensavo fosse... ma a me il Nord non interessava, dovevo
scendere, sempre, fino ad incrociare la strada provinciale.
Passarono
venti minuti, pensavo di continuo ad una via di fuga da quella
situazione e mi immaginavo di essere in compagnia di amici, in un luogo
sicuro, al sole, di ridere insieme a loro: questi minuti mi sembrarono
una eternità.
Guardai malinconico un cespuglio di rose selvatiche
davanti a me, il tramonto oramai passato arrossava ancora leggermente le
vette dei monti più alti, vedevo di sfuggita il Maggiorasca e
pensai a come sarebbe stato bello essere là sopra, sul pulito, senza il
bosco così incombente e con questo buio senza stelle praticamente
impenetrabile... Pensai ai miei familiari a casa, in pianura alle prese
con il caldo e le zanzare ignari di tutto ciò …Affranto, alzando gli
occhi al cielo sospirai...
Mi alzai per riprendere il cammino,
prima o poi la strada l' avrei trovata, ma c' era troppo buio...
raccolsi il bastone, assicurai il coltello stringendo la cintura quando
una sagoma regolare fra gli alberi mi costrinse ad aguzzare la vista. Mi
avvicinai quasi correndo... "VALICO DEL PESCINO km 3"... era un
cartello stradale...
Scesi, ora correvo davvero, i rami dei custi
mi graffiavano il viso e le mani ma non mi importava, continuavo a
scendere, gettai il bastone che oramai mi impacciava e null' altro e
finalmente, con un piccolo salto poggiai il piede sul nastro d' asfalto
ancora caldo del pomeriggio e mi si riempirono gli occhi di lacrime.
Ero
commosso, avevo ritrovato la strada per casa, non mi era mai capitata
una cosa del genere. Iniziai a cantare, da solo a voce alta, felice;
cos' erano i sei chilometri che mi mancavano? Ero certo che prima o poi
sarei arrivato... Ad ogni automobile che sopraggiungeva, un salto nei
cespugli a bordo strada mi permetteva di non essere visto... ero partito
a piedi e dovevo tornare a piedi quasi fosse questa la punizione di
tanta imprudenza per essere partito da solo e per aver abbandonato il
sentiero in un luogo non conosciuto.
Arrivai in paese che la notte
aveva avuto la meglio su tutto, nessuno mi cercava né mi aveva cercato e
la cosa mi diede un senso di solitudine e di vuoto. Ero stato lontano
dal paese dodici ore circa ma con tutto quello che mi era capitato mi
sembrò una vita. Varcai la soglia di casa, ripensai alla pineta, ai
tronchi neri degli alberi, al lamento della brezza fa i rami,
rabbrividii e sbarrai subito la porta alle mie spalle..
Il vento
aveva spazzato le nubi, le stelle stavano lassù, nel nero del cielo e
ogni poco una civetta con il lugubre suo verso faceva notare la propria
presenza.
Quanto sopra è un piccolo racconto di una delle mie
infinite avventure a Vicosoprano, qualche piccola aggiunta non ha
stravolto quanto accaduto, ne ha solo arricchito un poco la trama.
Ricordo veramente bene molti attimi di vita vissuta mentre
invece, di altri, mi sono rimasti solo brevi flash e mi devo impegnare affinché il poco che ricordo non scompaia anch'esso...
Lele